Ormai sono sicuro di avere una calamita che mi porta a conoscere storie splendide.
Non lasciatevi però ingannare, alla base c’è sempre una terribile sofferenza. In questo caso particolare parliamo di una sofferenza che ha accompagnato la mia paziente per buona parte delle sua vita.
Devo ammettere che mi ha fatto un certo effetto leggere il suo primo messaggio. Perchè?
Purtroppo anche se ormai siamo nel 2021 è sempre difficile parlare di vulvodinia con un professionista sanitario uomo. Eppure lei l’ha fatto ed è nato, passo dopo passo, un rapporto medico-paziente bellissimo!
I miei fedeli lettori avranno ormai imparato che c’è un filo sottile che lega il dolore alla nostra parte più intima, la mente.
Questa volta lascio la parola alla mia paziente che ha deciso di raccontarci la sua storia con dovizia di particolari.
Solo un altro piccolo appunto prima di immergervi nelle sue parole.
Dal dolore cronico si può guarire solo se inquadriamo il paziente come PERSONA e non come un insieme di sintomi. L’essere umano è molto più di una schiena che fa male.
Quando ho varcato per la prima volta la porta dello studio di Giorgio, non sapevo cosa aspettarmi, e a dire il vero, ero stanca e sfiduciata rispetto al sistema sanitario in generale.
Il mio scoraggiamento era dovuto al fatto che in quindici anni della mia esistenza, ho sempre girato da un medico all’altro senza avere mai una spiegazione, una risposta, e tanto meno una cura.
Tutti i medici convenivano su un’unica tesi: io ero depressa e ansiosa, e quindi il dolore esisteva solo nella mia testa, come frutto della mia immaginazione.
Dietro questa convinzione completamente errata, c’ero io, la mia storia, il mio vissuto, e nessuno (fino a che non ho incontrato Giorgio e altri validi professionisti) si era mai preso la briga di vedermi come una persona e di chiedermi quale fosse la mia storia.
Una delle prime cose che ho imparato col tempo, è che il dolore e i vari problemi connessi ad esso hanno un senso, un significato profondo, che preme per essere visto e accettato.
Chiunque faccia esperienza del dolore, penso sia chiamato a prendere coscienza di sé stesso, del proprio vissuto, delle proprie sofferenze, e da lì ripartire per mettere insieme i pezzi del puzzle.
Nella mia storia, il dolore è comparso relativamente presto e si è evoluto nel tempo, ha cambiato “forme”, fino a diventare sempre più ingestibile.
Ad oggi, posso dire che il mio dolore non è scaturito da un evento fisico traumatico (quale può essere una caduta o un incidente), ma piuttosto da una serie di eventi emotivi traumatici che si sono protratti per lungo tempo.
Tutto ebbe origine nella mia infanzia, quando ero una bambina altamente sensibile, timida, schiva, e quindi una facile preda agli occhi degli altri.
A scuola, sono stata vittima di pesanti e continui atti di bullismo e umiliazioni di ogni genere, da parte di insegnanti e compagni di scuola. Tutto ciò ebbe degli effetti devastanti sulla mia psiche ma anche sul mio corpo. Ero apatica, sempre stanca, non avevo un briciolo di autostima, mi isolavo volutamente da tutti e da tutto ciò che potesse ferirmi.
All’epoca, non avevo gli strumenti per poter elaborare in maniera corretta quello che mi stava accadendo e diventò quasi inevitabile credere di essere diversa, sbagliata, difettata, un vero e proprio fallimento.
Con questi presupposti, il dolore ebbe la strada spianata per poter entrare e stabilirsi definitivamente nella mia vita.
Con l’adolescenza, la crescita ed il passare del tempo, le cose non migliorarono, anzi.
A vent’anni, iniziai a soffrire in maniera seria di attacchi di panico, ansia, depressione e stanchezza cronica.
Ben presto, cominciai a consultare una serie di medici, per lo più psicologi e psichiatri, i quali, con una umanità pari a zero, sentenziavano: “La ragazza è solo depressa, deve prendere gli psicofarmaci” oppure “La ragazza è troppo ansiosa, si deve dare una calmata” oppure “La ragazza è troppo sensibile e somatizza all’inverosimile”. Ne ho sentite così tante, che ad oggi (sulla soglia dei 34 anni) nemmeno me le ricordo tutte. Ma il succo era sempre lo stesso. Non importava a nessuno se a vent’anni mi sentivo troppo stanca per uscire o per avere una vita sociale; non importava a nessuno se sentivo un macigno sul petto da non riuscire a respirare; non importava a nessuno se la notte mi svegliavo all’improvviso sudata con una tachicardia pazzesca. Semplicemente, non importava. Era sufficiente asserire che ero depressa e che avevo bisogno solo dei farmaci per stare tranquilla e serena.
In conclusione, ero sola, in balia del mio malessere e nessuno sembrava potesse aiutarmi realmente.
Dai venti ai trent’anni, la mia condizione di salute precipitò inesorabilmente con il subentrare dei problemi intestinali, le infezioni vaginali continue e, per finire, l’ipotiroidismo autoimmune.
Il malfunzionamento della tiroide mi portò ad ingrassare, a sentirmi stanca e senza forze h24, ad avere dolori muscolari diffusi pur non facendo alcun movimento, a non avere alcuna concentrazione e ad essere sempre più depressa.
Sia che si trattava del problema alla tiroide, sia che si trattava di altri tipi di problemi di salute, la risposta dei medici era sempre la stessa: “Lei non ha niente, il dolore è solo nella sua testa”.
Questo incubo durò per anni; anni di viaggi per l’Italia per cercare il medico giusto; anni di spese mediche altissime senza trovare una soluzione, anni di sofferenze fisiche perché stavo sempre peggio, anni di incomprensione e frustrazione, anni di buio totale.
All’età di 32 anni, la mia mobilità corrispondeva, senza eccedere, a quella di una vecchietta di 80 anni. La mia rigidità muscolare era ormai al culmine e facevo fatica perfino a camminare.
In questo quadro già di per sé pesante, iniziai a soffrire di un dolore lancinante al coccige. Non riuscivo a stare seduta per mezzo secondo, non riuscivo a camminare, ero praticamente bloccata dalla testa ai piedi.
Nessuno sembrava in grado di comprendere la causa del problema finché non incontrai un’ostetrica, una professionista seria e competente, che mi diagnosticò la vulvodinia e che mi guidò nel percorso di guarigione. Lei mi disse (e lo tengo sempre a mente):
“Il segreto della cura è prendersi cura”.
Attraverso le sedute di riabilitazione del pavimento pelvico, ho acquisito degli strumenti che mi hanno aiutata a conoscere il mio corpo, ad ascoltarlo sempre, e a dargli l’importanza che merita.
In seguito, dato che il dolore al coccige non mi abbandonava, decisi di rivolgermi a una fisioterapista, con la quale intrapresi un percorso di riabilitazione a 360°.
Con il tempo, tanta pazienza e tanta volontà, ho riacquistato la mobilità che avevo perso, mi sono lasciata alle spalle il dolore al coccige, ho cominciato a fare degli esercizi a casa e ho ripreso a camminare senza trascinarmi.
Dopo due anni, nonostante avessi fatto degli incredibili progressi, mi sembrava di essere in una situazione di stallo, in cui non andavo né avanti né indietro.
Ero arrivata a un punto del percorso in cui provavo a fare dei passi in avanti, a riprendere a muovermi e a camminare in modo costante, ma poi il dolore mi assaliva nuovamente e mi costringeva nuovamente all’immobilità.
Mi resi conto che se volevo realmente migliorare, dovevo lavorare duramente su me stessa, dovevo abbattere i limiti e le false credenze del passato, dovevo superare le resistenze che la mia mente metteva continuamente in atto, dovevo imparare a gestire il dolore, senza permettergli di essere il protagonista indiscusso della mia vita.
Allora, tre mesi fa, ho deciso di intraprendere un percorso di psicoterapia, ho lasciato la mia fisioterapista, e mi sono completamente affidata a Giorgio.
Ricordo che, prima di prendere un primo appuntamento con Giorgio, cercai di informarmi su di lui, vidi le testimonianze dei suoi pazienti, lessi qualcosa sulla sua pagina web, e mi convinsi che lui avrebbe potuto aiutarmi davvero nella gestione del mio dolore cronico e che avrebbe potuto condurmi nel percorso di guarigione.
Durante il primo incontro, la cosa che più mi ha colpito di Giorgio è stata l’estrema disponibilità e gentilezza, e il mettersi a pari livello rispetto al paziente. Mi sono sentita sin dall’inizio a mio agio, come se parlassi a un amico e non a un dottore. Giorgio mi ha ascoltata attentamente, ha compreso il mio vissuto, e con pazienza mi ha fornito tutte le risposte alle mie domande e tutte le spiegazioni possibili sul funzionamento della mia mente, del mio corpo, del dolore.
Dopo la prima seduta, abbiamo convenuto entrambi sul fatto che dovessi riprendere a fare movimento in maniera costante e a camminare, e che non sarebbe stato facile.
Giorgio mi ha spiegato con estrema chiarezza che il dolore non sarebbe scomparso dall’oggi al domani e che la strada per la guarigione non sarebbe stata lineare ma piuttosto simile una montagna russa. Mi ha dato la sua parola che non mi avrebbe lasciato sola, che ci sarebbe stato nei momenti di difficoltà e che mi avrebbe incoraggiato ad andare avanti. E così è stato.
Sotto la supervisione costante di Giorgio, ho ripreso a camminare. Prima un quarto d’ora, poi venti minuti, poi mezz’ora, quasi ogni giorno. Non è stato semplice. Ci sono stati momenti di sconforto, momenti in cui si ripresentava il dolore, momenti in cui volevo gettare la spugna. Ma la voglia di vivere ha sempre ha avuto la meglio.
Oggi, camminare è come respirare. È un’attività che il mio corpo richiede, quasi come se fosse ossigeno.
Questo non sarebbe stato possibile se non avessi incontrato un professionista competente e affidabile come Giorgio. Grazie a lui, ho imparato tanto, non solo a ricominciare a muovermi, ma anche a fermarmi quando sento il bisogno, a meditare per rallentare i miei pensieri, ad ascoltarmi senza giudizio e ad essere responsabile del mio benessere al 100%.
Mi sono affidata a Giorgio, anche per il discorso della vulvodinia. All’inizio, ero scettica perché pensavo che un uomo non avrebbe capito determinate problematiche femminili. Invece, mi sono ricreduta a pieno. Giorgio ha dimostrato di comprendermi meglio di una professionista donna e, attraverso i suoi suggerimenti, sono riuscita a raggiungere un livello maggiore di conoscenza del mio corpo e a capire cosa è funzionale per me.
Sono ancora all’inizio del mio percorso, ho ancora tanto lavoro da fare, ma sono certa di essere sulla strada giusta. Guidata da Giorgio, sono sicura che il dolore farà sempre meno parte della mia vita e che piano piano, ricomincerò a fare tutte le attività che mi sono per tanto tempo negata, e ricomincerò a vivere a pieno.
Quando penso al lavoro che ogni giorno Giorgio svolge con dedizione e pazienza, mi viene in mente una frase:
“Quando curi una malattia puoi vincere o perdere.
Quando ti prendi cura di una persona, vinci sempre”.
(Patch Adams)