Ieri torna in studio una paziente vista una settimana fa. Soffriva di lombalgia da anni, non ricordava neanche dove collocare temporalmente l’inizio del suo calvario. Era letteralmente distrutta da questa situazione.
Durante la prima visita dopo avermi dato la sua RX ed avermi detto alcune parole sul suo problema inizio a spiegarle i meccanismi che regolano il dolore cronico, l’influenza della mente, del vissuto, delle relazioni, la qualità della vita… Lei di botto mi dice “non iniziare con la solita storia dei dolori psicosomatici, me lo dicono tutti e oramai non ci credo più, cambia disco”, “ho già speso migliaia di euro in visite e cure inutili!”.
Per fortuna non cambio disco e con pazienza iniziamo ad interagire fino a quando, poco alla volta, mi racconta la sua storia. Le sue angosce, i suoi problemi, tutto. Lo fa iniziando così “la mia vita fa schifo… non mi piace niente della mia inutile vita”. Abbiamo parlato di dolore per un’ora, lei era terribilmente scossa dalle mie parole, sembrava che nella sua testa stessero combattendo l’angioletto contro il diavoletto. Il primo che le suggeriva di ascoltarmi e il secondo che la spingeva a restare delle sue convinzioni. Lei mi ha ascoltato e poi mi ha fatto una serie infinita di domande.
Dopo averla fatta stendere sul lettino le poggio una mano sotto la schiena: c’era una tensione pazzesca, contrazioni improvvise dei muscoli, era una corda di violino. Continuiamo a parlare, lei ad un certo punto scoppia in un pianto liberatorio e la tensione cala, la schiena inizia a capire che non c’è alcun pericolo.
A quel punto la faccio mettere seduta alla sedia e le chiedo di flettersi in avanti e raccogliere una penna “tu sei pazzo, sono anni che non mi piego”. Riluttante si flette, si rialza e mi guarda sbalordito dicendomi “cosa mi hai fatto?” ed io “abbiamo fatto capire al tuo sistema nervoso che non c’è alcun pericolo per la schiena e lui ti ha permesso il movimento”. Se ne va incredula…
Ieri era sorridente, a differenza del primo incontro, si siede e candidamente mi dice “non voglio più continuare il trattamento con te” e io in silenzio le sorrido. “Non mi chiedi il perché?”, “sono sicuro che non vedi l’ora di sputare il rospo quindi spara, sono tutt’orecchie”.
“Mi hai turbata, sono arrivata da te con la convinzione che mi avresti manipolato in 100 modi diversi e invece mi hai solo toccato un po’ la schiena. Hai esordito dicendomi di raccontarti la mia storia e poi abbiamo parlato per un’ora. Hai dato un’occhiata alla mia radiografia senza darle troppa importanza, tutti gli altri medici vedendola mi prospettavano scenari tragici. Ho passato tutta la settimana a farmi domande, mi sentivo a disagio perché proprio non riuscivo a capire cosa mi avessi fatto. Inoltre ero arrabbiatissima con me stessa perché, senza nemmeno conoscerti, ti ho raccontato i lati più bui della mia vita, quelli che non racconto ad anima viva, nemmeno al mio psicologo. Ero così arrabbiata che per dispetto non ho fatto gli esercizi che mi hai assegnato. Mi hai messo in testa questo tarlo e non faccio altro che pensare a tutte le cose che mi hai raccontato sul dolore.” A quel punto le chiedo “ma come sei stata? La schiena, i dolori alle spalle, come sono andati?” E lei sorridente ed arrabbiata allo stesso tempo dice “bene porca miseria, sono stata davvero bene. Ora ho bisogno di tempo per elaborare tutto quello che mi hai raccontato”.
Lei non ha bisogno di continuare il trattamento. Ha compreso quali sono le cause dei suoi problemi fisici e già questo, solo questa piccolezza, ha fatto la differenza. Solo comprendere quello che succede al nostro corpo quando abbiamo dolore l’ha fatta star meglio.
L’obiettivo del trattamento è proprio questo, rendere il paziente autonomo nella gestione di questi disturbi.
Alla fine lei mi ha abbracciato, in barba alle norme covid, ed io mi sono emozionato.
Spero di poter aiutare tante altre persone che vivono la sua stessa condizione!